IL BUON MAESTRO


 

[...] Mi prenderò cura di ciò. Limiterò la mia azione al fine di percepirne, dei miei avversari, il cuore. Quando il battito sarà visibile sulle punte delle loro lame, io saprò che a quel punto sarà giunto il momento di tradurre la mia pacata quiete in istantaneo agire e veemente furore.

Il mio nome è Michele Zannolfi (cl. 1957), il mio grado marziale, in virtù d’avere fondato nel 1982 una disciplina denominata Kenjitsu Hasakidō Shuhari, è quello di: Maestro fondatore. Questo conferimento è strettamente riferito ai fini d'una collocazione chiarificatrice nella sfera delle discipline marziali. Un Allievo d’armi mi ha chiesto di spiegare in modo approfondito i meccanismi, gli addestramenti e i concetti che conducono alla genesi di un Maestro. Narrando della mia infanzia, dell’adolescenza ed infine della maturità, verosimilmente, questa mia esposizione diverrebbe romanzata. Tuttavia, occorre tener presente che ciò che si diviene è, senza alcun’eccezione, frutto della propria leggenda personale.
M’esprimerò scrivendo del “Buon Maestro” evitando scrupolosamente di descrivere singoli Maestri. Posso affermare che la genesi del “Buon Maestro” è, senza eccezione, coincidente allo sviluppo della «misericordia» del suo animo. Misericordia che s’amplifica nella propria aberrazione, nella devianza e nel disadattamento. Infine, se si sta percorrendo la «Via», essa diviene catarsi, purificazione. Egli è cresciuto incedendo in strade, che anche considerandole separatamente sarebbero difficilmente percorribili. Il “Buon Maestro” è divenuto impareggiabile nel comprendere l’altrui animo. Percepisce la bruma del male mediante tutti i suoi sensi, e facendo uso di ciò che durante il suo tragitto ha potuto acquisire, si predispone alla “Pacata Quiete” che prelude al combattimento.
In questa condizione, egli, sospende il pensiero logico. Muta lo spazio temporale. Colloquia col proprio animo. Prendendo in questo modo nuova coscienza, si predispone alla necessaria trasformazione.
Ciò accade sempre. Sia con le cose di poca importanza sia con quelle di gran rilevanza. Egli si concede il tempo per la riflessione, quindi decide traendo forza dalle esperienze vissute. Queste meditazioni possono durare giorni, oppure riescono a portarsi a compimento tra due soli battiti del suo cuore adamantino.
Il nostro animo riconosce il Bene ed il Male. La nostra mente valuta i guadagni e le perdite. Ciò fatto, agiamo di conseguenza. Il “Buon Maestro” ha appreso che così facendo si rimane sconfitti prima ancora di dare inizio a qualsiasi combattimento, qualsivoglia azione o qualunque opera. Egli rifiuta a priori ciò che ha imparato a identificare come «Male» e agisce in virtù di questo convincimento.
Ciò soddisfa il quesito posto, vale a dire: con quale impostazione mentale il giovane divenuto Maestro si predispone alle avversità?
Durante la sua analisi, l’Allievo mi richiedeva di chiarire i metodi di un corretto allenamento. Si sostiene che quale che sia la personalità di un Maestro d’un arte di combattimento, egli ha alcuni inevitabili tratti caratteristici. Ha percorso la «Via», ne ha esplorato tanto la strada principale quanto i sentieri collaterali, e possiede l’abilità e il desiderio di condurre lungo lo stesso cammino le generazioni successive. Ciò non sempre corrisponde al vero. Certune volte il “Buon Maestro” ricerca la solitudine, schivo d’incedere a qualunque forma d’addestramento codificato. Molti aspiranti pronunciano “Arte Marziale” senza approfondirne il significato. Hanno classificato il concetto di «marzialità», verosimilmente, in età adolescenziale e non si sono più soffermati sul termine. Ben sanno che il significato è «Arte del guerriero» contrariamente lo rendono come «Arte di far finta d’essere un guerriero».
Il “Buon Maestro” insegna l'Arte della guerra, divenendo correo della condotta del suo Allievo. Cosicché si rende responsabile morale di ogni azione marziale compiuta dal discente. Il “Buon Maestro” è sempre in grado d'allontanare, in qualunque momento del percorso d'addestramento, chi perda, o non possegga, i requisiti d'animo del "Buon Guerriero". Il “Buon Maestro”, in contrasto a ciò che comunemente si crede, ha un’inestimabile sete d’imparare. Egli allena la mente e il corpo ricercando le forme più semplici. Sa che esse, combinandosi, diverranno a mano a mano complesse. Miscelandosi assumeranno figure inimmaginabili. La sua mente non ricerca la soluzione ma cavalca il dubbio, l’incertezza del gesto. Diviene favoreggiatrice e complice. Servendosi della «Quiete» le metterà a fuoco ed essa sarà risolutoria.
I più ne vogliono imitare l’esito ma ciò è avverabile solo eccezionalmente. Essi risulteranno favoriti, poiché non vestiranno il ruolo di risolutore, ciò nonostante dovranno compiere almeno una parte del percorso seguito dal loro insegnante. Senza prendere in considerazione le "esibizioni", che, a mio parere, nulla hanno a che fare con la marzialità, occorre fare un distinguo tra le doti congenite, e quelle assorbite. Le prime costituiscono le abilità trasmesse geneticamente e possono essere utilizzate in ogni momento ed in qualunque età con esiti più o meno consistenti. Le seconde debbono essere ricuperate e, se non precisamente automatizzate, richiedono un ricupero mnemonico a danno della reattività.
Il “Buon Maestro” sa che i frutti dell'addestramento deperiscono velocemente. Richiedono continue cure e accurate rivisitazioni. Egli conosce i suoi confini perciò adotta idonee misure. Il gesto del “Buon Maestro” non è più rapido di quello dell’Allievo. Egli è semplicemente più “veloce”, in quanto svolge solo parte del movimento tecnico.
Il “Buon Maestro” opera una sintesi della movenza. Questa è possibile solo attraverso un antecedente diligente esercizio psicofisico. La tecnica non può essere studiata e acquisita dall’Allievo nella sua sola sintesi; così facendo si presenterebbe priva di tutti i suoi elementi primari. La nomea di “invincibile” di taluni marzialisti è appunto il prodotto di una miscellanea di doti e intelligenza strategica. Il “Buon Maestro” apprende eseguendo ogni atto, poiché ripone sempre meticolosa attenzione. Il gesto diviene quindi “forma” che educa il corpo. Esecuzione in armonia con il pensiero che accoglie, riceve, comprende e restituisce il vuoto divenuto pieno (Solido fluidificato, fluido solidificato).
Dunque la sintesi è l’amalgama di quanto è stato operato. Se il “Buon Maestro” vi chiedesse di ripetere la frase: “Assorbimento di un processo”, non dubito che sareste in grado di farlo, ma quanti, senza avere letto questo testo, sarebbero in grado d’esplicarne il concetto. In altre parole: si è in grado di restituire le forme complesse modificandole in figure semplici solo dopo averle ampiamente sperimentate. Padroneggiando la forma si raggiunge l'essenza.
Ciò soddisfa il quesito posto, vale a dire: con quale metodo un Maestro procede al suo allenamento?
L'Allievo, all'atto di congedarsi, concludeva sostenendo che alcune affermazioni erano molto semplicistiche: segui il sentiero; impara a percepire; accogli l’energia vitale; la via del guerriero; eccetera. Orbene, lontano da ciò che si definisce «teologia» o da qualsivoglia altra forma di misticismo, il “Buon Maestro” ha sperimentato che uno dei passi più difficili nelle Arti Marziali è l’intendimento del trittico: corpo, mente e animo.
In esso si racchiude il pensiero profondo, la natura del movimento, il dono immenso. Il “Buon Maestro” ha inteso che la disciplina marziale può essere fatta propria attraverso la comunione di molte conoscenze. Ogni esperienza è in grado di apportare un'adeguata consapevolezza marziale. Paragonabile all'opera dello spadaio, la «disciplina» altro non è che uno studio anaglifo della postura, della movenza, della mente e della psiche. La forgiatura disciplinare richiede la massima empatia tra Allievo e Maestro.
Per un allievo l’acquisizione è comparabile alla lettura d’un testo poetico. Potete possedere la sensibilità e quindi durante la lettura sentirvi compartecipi, infine affermare che l’avete compreso. Ma non vi si richiede solo di comprenderlo bensì d’intenderlo nella mente; d'assimilarlo nell’animo; di viverlo attraverso i vostri sentimenti; recepirlo con la stessa intensità con cui è stato elaborato; compararlo con le vostre commozioni; penetrarlo di parola in parola; analizzarlo attraverso il vaglio della punteggiatura; intuirne le scelte etimologiche. Così facendo vivreste alcuni istanti di un'altra vita. Nell’arte marziale, come col testo poetico, potete eseguire tecniche difficoltose e affermare d'essere marzialisti che percorrono il bushidō. Essa, invece, per essere compresa ed acquisita vi richiede dedizione assoluta e, se vi riterrà degni, si donerà quale perfetta traslitterazione della vostra Anima. Così facendo, vivreste nell’interezza la vostra vita.

M° Michele Zannolfi

FONDATORE DEL KHS MARTIAL ART 1982




Il «Buon Guerriero» ha l’animo diviso equamente tra pacata Quiete e veemente Furore. Quando governa la Quiete egli lascia che il Furore sia il suo mentore. Quando impera il Furore, permette alla pacata Quiete di consigliare il suo passo. (M. Zannolfi)


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